Vermocane
(Hermodice carunculata)
- Annelida
Phylum
- Polychaeta
Classe
- Amphinomida
Ordine
- Amphinomidae
Famiglia
- Hermodice
Genere
- H. carunculata
Specie



Il vermocane (Hermodice carunculata) è un verme marino, anche se in biologia “verme” significa ben poco poiché i vermi abbracciano diverse categorie (phyla, per essere più precisi) distinte. Il vermocane, in particolare, appartiene al phylum Annelida e alla classe Polychaeta. Ciò vuol dire in parole povere che il suo corpo è formato da una serie di anelli tutti uguali, tranne il primo e l’ultimo, detti metameri (anellidi), ognuno dei quali presenta delle appendici, dette parapodi, con un ciuffo di setole bianche o chete (policheti). In più, sparse sui metameri, si trovano le piccole branchie che gli permettono di respirare – vedi foto.
Il problema sono le setole. Già, perché oltre a permettere al vermocane di muoversi, rappresentano un’arma di difesa efficacissima. Sono sottilissime e fragilissime, ma anche dure poiché chitinose; come aghi di vetro si rompono dunque al primo contatto con il potenziale predatore, provocando dolore e pure infiammazione, per via di una neurotossina che viene rilasciata. Così avviene con l’uomo disattento o stupidamente curioso; ma anche con gli altri esseri marini, perché praticamente non se ne conoscono efficaci predatori.
Conosciuto ai Caraibi e in Mar Rosso, le prime segnalazioni nel Mediterraneo risalgono a inizio ‘800 (tra l’altro in Sicilia orientale e nell’Egeo). Ma la sua distribuzione inizialmente limitata al Sud sta negli ultimi anni rapidamente spostandosi verso nord, fino in Adriatico e addirittura in Francia. E perfino al Sud, dove stiamo noi, di anno in anno notiamo realmente quanto sempre più numerosi essi siano.
Il punto è che il vermocane ama il caldo (e come biasimarlo?!?). Sotto i 19 °C sembra che si metta in stato di inattività, e le sue larve hanno bisogno di più di 22 °C per sopravvivere. Per questo la riproduzione avviene in piena estate: i maschi e le femmine si alzano per tre quarti tipo cobra e, oscillando lentamente, emettono i loro gameti, che si fecondano e vagano in forma pelagica per un tempo molto lungo, di alcune settimane almeno. È proprio questo il segreto della loro diffusione, il lungo tempo pelagico delle larve che possono così raggiungere luoghi lontani e sparsi. Sempre che faccia abbastanza caldo, ma questo purtroppo è sempre più vero…
Oltre a tutto ciò, la “fama” recente del vermocane viene dal fatto che mangia… di tutto! Dai pesci morti agli echinodermi (stelle marine e ricci, fra cui lo squisito Paracentrotus lividus), dai cnidari (anemoni, meduse e gorgonie, fra cui le emblematiche Paramuricea clavata ed Eunicella singularis e cavolinii – vedi foto), ai molluschi (nudibranchi, chitoni – vedi foto), perfino i tunicati (ascidie). Insomma, distrugge un po’ tutto, e per di più se lo si taglia in due sarà capace di rigenerare la coda sopravvivendo egregiamente!
A proposito di gorgonie e antozoi: si pensa che, oltre a mangiarne i polipi, il vermocane sia vettore di batteri patogeni dell’ordine Vibrio, che poi a loro volta infettano le gorgonie. È il caso dell’Oculina patagonica, madrepora coloniale diffusa soprattutto nel bacino orientale del Mediterraneo, su cui sono stati documentati casi di sbiancamento innescati proprio dal nostro amichetto.
Tra setole dolorosissime, assenza di predatori, aumento impressionante di numero e voracità estrema, il vermocane è ultimamente al centro dei riflettori. E ciò poiché impersona drammaticamente i cambiamenti, in questo caso letali, che il riscaldamento globale può causare al nostro mare.



In quale itinerario lo incontriamo?
- Rotta del tonno
- Quasi tropici
- A casa di Eolo